Brain Rot. Quando i social rubano energia al tuo cervello.

Quanto tempo trascorri scorrendo TikTok, Instagram o guardando video su YouTube? L’Oxford Dictionary ha scelto Brain Rot come parola dell’anno, e non è un caso. Questo termine rappresenta un fenomeno sempre più diffuso: l’impatto negativo che l’uso eccessivo dei social media e delle piattaforme digitali può avere sulla nostra mente, portando a una sorta di “atrofia cognitiva”.

𝐌𝐚 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐬𝐢𝐠𝐧𝐢𝐟𝐢𝐜𝐚 𝐞𝐬𝐚𝐭𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞? Brain Rot si riferisce a quella sensazione di svuotamento mentale, stanchezza emotiva e incapacità di concentrazione che molti di noi provano dopo ore di scroll infinito o contenuti rapidi e frammentati. È l’effetto collaterale di un mondo digitale sempre più invadente, che ci bombarda di stimoli, ma ci priva del tempo per riflettere davvero.

𝐄𝐜𝐜𝐨 𝐜𝐨𝐬𝐚 𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐨 𝐢𝐧 𝟒 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐢:
1️⃣ 𝐈𝐥 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐞𝐧𝐮𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐚, 𝐦𝐚 𝐥𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐞̀ 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐨. Nel marketing digitale, non si tratta solo di “esserci”, ma di offrire contenuti che aggiungano valore, non che saturino inutilmente la mente del pubblico.

2️⃣ 𝐄𝐪𝐮𝐢𝐥𝐢𝐛𝐫𝐢𝐨 𝐭𝐫𝐚 𝐜𝐨𝐢𝐧𝐯𝐨𝐥𝐠𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐞 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐭𝐭𝐨. Creare contenuti che catturino l’attenzione senza contribuire al “brain rot” significa puntare su narrazioni autentiche e significative, piuttosto che inseguire semplicemente il trend del momento.

3️⃣ 𝐒𝐨𝐬𝐭𝐞𝐧𝐢𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢𝐠𝐢𝐭𝐚𝐥𝐞. È ora di ripensare al modo in cui creiamo e consumiamo contenuti. I brand hanno una responsabilità: quella di rispettare il tempo e la salute mentale delle persone.

4️⃣ 𝐔𝐧 𝐦𝐨𝐧𝐢𝐭𝐨 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐟𝐮𝐭𝐮𝐫𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐜𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞. Brain Rot ci ricorda che il sovraccarico digitale non solo intacca le menti dei consumatori, ma rischia anche di rendere inefficaci le strategie di marketing che si basano esclusivamente su quantità anziché qualità.

💡 𝐋𝐚 𝐦𝐢𝐚 𝐬𝐟𝐢𝐝𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝟐𝟎𝟐𝟓? Lavorare con i brand per creare contenuti che non solo catturino l’attenzione, ma la rispettino. Comunicare meglio, non di più.

E tu? Hai mai avuto quella sensazione di “cervello spappolato” dopo una lunga sessione di social media? È il momento di ripensare non solo a come consumiamo contenuti, ma anche a come li creiamo.


Pubblicato da

Massimo Danza

Che fossi un creativo pubblicitario lo hanno capito subito. Nel freddo inverno del 1965 nasco con 24 giorni di ritardo. In quasi un mese tutti chiedono di me, tutti si domandano come mai, tutti mi aspettano incuriositi. Realizzo così il mio primo teaser. La grande curiosità, la voglia di conoscere e l’istinto innato di esplorare mi porta a muovere i primi passi già a 7 mesi. La comunicazione sembro averla nel sangue perchè a 10 mesi già parlo. A 7 anni mostro di saper usare l’ambient marketing, il nonconventional e il flash-mob: in piazza Duomo, a Firenze, sparo al massimo il volume della radiolina e ballo; alla fine si abbasso i pantaloni per mostrarmi come il David di Michelangelo. A 10 anni invento il mio smartphone: allargo pollice e mignolo della mano destra e telefono ai miei amici. Poi unisco il pollice con l'indice delle due mani, inquadro, scatto foto e salvo i file nella mia memoryhead. A 12 anni sono già social: quando incontro gli amici condivido le mie esperienze, le spiego in modo dettagliato come fossero foto e tutti mi dicono ’mi piace’. Poi ho studiato, ho affinato le tecniche, ho fatto esperienza e dal 1989 lavoro e continuo a scrivere storie di successo insieme alle aziende per le quali lavoro. Qualche volta ho anche la pretesa di insegnare le cose che so e di raccontare con entusiasmo la mia esperienza.

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